sabato 21 dicembre 2013

Le "palle" di Natale

Viste nella vetrina di un negozio "very design" della mia città e poi trovate anche in rete: sono il risultato di un progetto grafico di uno studio torinese, Elyron. Tra un "Non voglio nulla, mi basta il pensiero" a "Sei davvero una bella persona" a "Lo faccio domani come prima cosa" ci ricordano, nel periodo stra-ordinario delle Feste, quanto siamo ordinariamente un po' bugiardi. Questo non ci procurerà questi gran doni da parte di Babbo Natale (però, in fondo, è il risultato di uno studio grafico pure lui), ma qualche sorriso certamente. E sorridere, specie di sè stessi, è sempre elegante. Signore e signori, le "palle" di Natale.
(Di P.)



venerdì 20 dicembre 2013

Personaggi da Natale

Nel dicembre del 2004 Stefano Benni aveva pubblicato questo articolo (su "La Repubblica"), di cui un'amica mi aveva dato copia (grazie a Gaia) e di cui riporto la gran parte. 
Rimane divertente e simpatico. E rimane la tentazione di chiedersi in quale categoria potremmo infilarci o potremmo infilare i nostri conoscenti...
Le paleopalle e lo spray al tarlo sono favolosi gadget natalizi. 

Buon Natale! 




Il tradizionatalista

Per questo personaggio il Natale deve essere quello di una volta. L'albero deve essere un vero abete, magari rubato di notte nel bosco. Non va decorato con orpelli di plastica, ma con le vecchie palle di vetro, conservate in cantina, sacre come il Graal. Queste paleopalle, superstiti da decine di Natali, ormai si rompono solo a sfiorarle, perciò la confezione dell'albero diventa un'operazione chirurgica. Ogni preziosa sfera viene passata di mano in mano e appesa trattenendo il fiato. Seguono le candeline di vera cera. Quindi si avvolge l'albero con un boa argenteo di dodici metri appartenuto alla Bella Otero. Si appendono ai rametti dei pupazzetti di cioccolata così vecchi e stantii che non potresti riciclarli neanche come vicepresidenti del consiglio. Infine, gran finale col vecchio puntale, uno scettro pralinato di brillanti, a metà tra Excalibur e il cavatappi di Goldrake. A questo punto il Tradizionatalista scende dalla scala appena in tempo per vedere l'albero precipitare, le palle esplodere come bombe, le candeline appiccare il fuoco alla casa e può dire tra le lacrime:
- Che bello, è bruciato tutto proprio come quand'ero bambino... 
Dopo l'albero, è la volta del presepe. Le statuine devono essere almeno centenarie, anche se gli anni le hanno consunte. Maria è senza naso, Giuseppe sembra Valentino dopo il decimo lifting, davanti alla capanna si aggirano pastori monchi e pecore decapitate. Un re Magio è andato perso ed è stato sostituito dal soldatino di un cow boy a cavallo. 
Ma niente ferma il Tradizionatalista. Andrà nel solito bosco a svellere un zolla di vero muschio, confezionerà il fiume di carta stagnola e riparerà la coda alla cometa. Quando tutto sarà pronto, accenderà le luminarie e si accorgerà con disappunto che al posto di Gesù Bambino c'è un Pokemon rosa. 
I figli di tradizionatalisti sono molto dispettosi. 




Il gastrotradizionalista

Variante alimentare del precedente. Per lui la tradizione riguarda soprattutto il pranzo natalizio, che deve comprendere i piatti di una volta. Anzitutto i tortellini, o agnolotti, o cappelletti della nonna. Schiere di nonne che per tutto l'anno sono state ignorate, dieci giorni prima della Festa vengono sommerse di attenzioni. Anche se artrosiche o ipertese, vengono issate dai letti e schiodate dalle sedie a rotelle, drogate con cardiotonici e obbligate a impastare e farcire. Se si rifiutano, vengono torturate con musica rock nel cornetto acustico. Ottenuto il primo piatto, il Gastrotradizionalista provvede al secondo, il classico tacchino farcito di quindici chili. Quasi nessuno in Italia, a eccezione delle acciaierie di Terni e di Baget Bozzo, possiede un forno così ampio da contenere un tale bestione. Quindi bisogna affidarsi al forno di un ristorante. Si porta il tacchino di quindici chili e, poche ore prima del cenone, vi verrà riconsegnato un pollo di un chilo. Si è ristretto con la cottura, vi spiegherà ghignando il ristoratore, che intanto ha già piazzato il tacchino a una tavolata di giapponesi. 




L'ipermoderno

Esatto contraltare del tradizionalista è l'Ipermoderno, per cui il Natale deve essere arricchito da tutte le novità tecnologiche. Ad esempio, l'albero sintetico telecomandato che cammina per la casa, apre la bocca e canta. Quasi sempre questo mostro fronzuto e gracchiante si guasta, ed è impossibile fermarlo, essendo dotato di pile speciali al plutonio. [...]
Si può abbattere solo con una ruspa. L'Ipermoderno non ama il presepe, ma se proprio è obbligato, compra il presepe cellulare Nokia o Sony, con la Madonna che riceve tremila messaggini Sms di congratulazioni. Dove l'Ipermoderno si scatena è nei regali, che bisogna assolutamente ordinare via Internet. Eviti le file e la ressa, non sai quanto è comodo. Attenti, però: basta sbagliare un dato ed ecco che spariscono diecimila euro dalla carta di credito e a casa vi arrivano un camion di armi, duemila conigli e una bambola gonfiabile. A questo punto l'Ipermoderno si accorge che, nella sua frenesia tecnologica, si è dimenticato di cucinare il cenone. Niente paura. Il pesce crudo diventa sushi, la carne non cotta viene spacciata per carpaccio e per fortuna i dolci li portano gli altri. 

Il colpista
Questo signore vive ogni Natale con senso di colpa, pensando ai poveri del mondo. Se è un Colpista rigoroso, dà i soldi a qualche organizzazione umanitaria e rinuncia alle spese natalizie. Ma più spesso il Colpista è un generoso titubante, e alla fine si riduce a organizzare un Natale miserello. L'albero diventa il ficus di casa, decorato con due palle da tennis. Nel presepe avviene un brusco taglio di organico: praticamente c'è solo il bambin Gesù piangente e due pastori che telefonano alla polizia per avvertire che c'è un neonato abbandonato in un mangiatoia. 
La cena di Natale viene ridimensionata. Tortellini surgelati, e invece del tacchino ripieno, un pollo gonfiato col silicone. [...] 



Il contrarista
Versione cinica del Colpista, egli è assolutamente contrario alla retorica natalizia. Spesso non si limita a ignorare la festa, ma prepara un Contronatale provocatorio. Non solo non fa l'albero, ma distrugge quelli degli altri con uno spray al tarlo. Compra il muschio, lo stende in salotto e ci mette la scritta: Divieto di costruire presepi. La notte di Natale cerca di mangiare le cose peggiori: vongole in scatola, pasta alla liquirizia, frutta di marzapane fritta. Non fa regali e non ne vuole. Normalmente la famiglia, che conosce questa isteria del Contrarista va a passare la notte di Natale dalla nonna. Dove lui arriverà pentito, dieci minuti prima di mezzanotte, con un panettoncino al dito. 
[...]

Il cane da pastore
Questo individuo, durante le feste natalizie, prova l'irresistibile impulso a radunare il maggior numero possibile di persone. Il suo motto è: "A Natale si deve stare insieme". Non contento di requisire i parenti prossimi si mette a caccia di cugini e bisavoli. Recupera zii scomparsi da anni, fa ricerche araldiche, scova figli illegittimi e nonni dati per morti. Se qualcuno cerca di sfuggirgli, lo va a prendere in furgone e lo trascina a forza in casa. Dopodiché organizza una cena per sessanta persone con ventidue sedie e posate per quindici, si sbronza, litiga chiamando la metà dei presenti terroni e sbafatori. Alla fine di questa kermesse, il signore-cane-da pastore, pronuncia la famosa frase: "il prossimo Natale non invito più nessuno". 
[...]

Il televisivo
È il caso più grave. Si ingozza un pezzo di tacchino e si alza da tavola dicendo: "che palle questa storia del Natale". Poi si piazza davanti alla televisione con un sacchetto di noccioline e guarda come passano il Natale i Vip. Solo ciò che è teletrasmesso lo interessa. Per fortuna la moglie sa come riportarlo sulla retta via. Confeziona il presepe con una piccola telecamera sul tetto. Poi ci scrive sopra: 
"Le nomination di questa settimana sono il Bue, San Giuseppe e l'arcangelo Gabriele. Chi vuoi che esca dalla capanna? Manda una preghierina a Gesù". Il nostro uomo passerà tutto il Natale davanti alla Sacra Rappresentazione. Come disse Previti a Squillante, chi ha detto che non abbiamo più valori?


Stefano Benni

giovedì 28 novembre 2013

Il latte nero

Qualche settimana fa, presso un mercatino nel quale sono capitata per caso, sempre per caso sono capitata su un bell'acquisto. Io la chiamo "sciarpa ad anello" o "sciarpa ciambella" (evidentemente non ho molto da fare in questo periodo se dedico parte del mio tempo a inventare nuovi nomi per gli accessori), ma è uno scaldacollo. Ci sono tanti scaldacollo (non mi piace questo nome, non c'è niente da fare). Però questo è largo, lungo, copioso, accogliente, molto molto caruccio. La fantasia ha del vintage, il che mi decise ad appropriarmene.


 
Nello sceglierlo (quei 50 minutini, quelle 35 prove di 35 scaldacollo diversi, di cui alcuni provati due volte, va da sè - eh sì, ce n'erano parecchi) ho potuto fare la conoscenza degli artefici del capo suddetto (ma anche di pochette, borse, spille e così via): delle simpatiche (e pazienti) ragazze, creative e cordiali quanto organizzate. Lavorano handmade quello che disegnano e producono, in un laboratorio a Busto Arsizio.



I materiali e i modelli sono interessanti (niente pura lana, niente pura seta, niente puro cachemere, non è quel genere lì), c'è dell'estro e una buona cura nella realizzazione (la cura ci piace: scalda come la pura lana, la pura seta...). E - crisi docet - non ho potuto non notare che i prezzi sono ragionevoli, onesti persino. Che di questi tempi.

Si chiamano Black Milk. E insomma, ho fatto un giretto sul loro sito (http://www.bmilk.net). 
Questo non è un blog con la pubblicità, ma quando qualcosa funziona ed è gradevole, perché non indicarlo?
(Di P.)
 

lunedì 4 novembre 2013

Balocchi e profumi

Ci eravamo addormentati. Forse. Un po'.
Comunque.
Non è difficile riprendere là dove ci eravamo lasciati.
Per esempio, oggi è arrivata una suggestione. Che vi giro. Riguarda i profumi.


Se lasciamo da parte l'aspetto commerciale - cioè il 90% della questione, d'accordo - credo si possa stimolare qualche riflessione. Andiamo per ordine. Cominciamo da quelle di base. Base. Base. Base. Non aspettatevi la rivelazione.

1. Ammettiamolo, diciamolo, diciamocelo: i profumi non stanno bene a tutti. 
Non nel senso che non tutti i profumi stanno su tutti. Eh, no: troppo facile. Voglio proprio dire che ci sono individui (di entrambi i sessi) a cui una fragranza sottrae invece che aggiungere (qualunque cosa pensiate di aggiungere con un profumo). 
In genere accade per due ragioni. La prima, quella facile, quella fisiologica, è che hanno una pelle che ammazza, sminuzza, stempera, vitupera, sdolcina (neologismo mio: piace?), pizzica, rosicchia, stropiccia, sgualcisce, perturba qualunque essenza, qualunque declinazione odorosa. Ne viene fuori un'altra cosa, ma proprio un'altra cosa. E la somma dei fattori, in questi casi, cambia. Cambia eccome. Cambia da non credere. Cambia talmente e in tal modo che è cosa buona e olfattivamente giusta soprassedere.
La seconda non ve la dico. Perché poi mi scrivete che il blog costanteleganza è "cattivo". E allora niente.
 
2. Metterne troppo può capitare, capita a tutti, è capitato. E continua a capitare. Ma è meglio se non capita.

3. Da ultimo, mi concedo una banalità. Le banalità sono quelle verità così vere e risapute che tutti conoscono e condividono. Quindi, a rigore, non è necesario citarle. Perché, altrimenti, si cade nella... Appunto. 
Però è altrettanto vero e risaputo che può essere corroborante e rassicurante dirsene una ad alta voce, ogni tanto. Ci tiene in contatto con la banalità del reale. Che, a ben guardare, può essere consolante.
Chiedo scusa per la digressione. Che non era ancora la banalità promessa (anche se magari poteva già sembrare che lo fosse).
Ebbene. Dicevamo. Banalmente: il sottofondo odoroso dei dopobarba maschili (non che esistano quelli femminili) è una delle cose più irriducibilmente maleodoranti in circolazione da tempo immemorabile. 


Quel sottobosco sinistro quanto amarognolo che è sempre uguale a se stesso: potete cambiare la marca, la bottiglia, l'epoca, il nome del dopobarba - persino l'uomo potete cambiare - ma lui non cambia, non retrocede, non si sposta. Lo ritrovate sempre. Anche alcuni profumi maschili (esistono anche quelli femminili; anche unisex - e vanno alla grande di recente, pare. Vedasi: http://www.vogue.it/beauty/the-now-idea/2013/05/profumi-unisex-maschili-femminili-fragranze) lo contengono. E si annida là, proprio sul fondo, nel retrogusto odoroso. E quando credevate di esservela cavata - per questa volta, almeno - eccolo che affiora. Ed è subito muschio.

Di P.

domenica 19 maggio 2013

T-shirt (fortemente) narcisiste

Proseguiamo un momento sul versante "bimbi".
Devo confessare che qualche anno fa, trovandomi a voler acquistare un presente per una cara amica neo-mamma, decisi di portarle qualcosa per il pupo. Mi ritrovai così a scoprire che il senso dell'umorismo, ma sosprattutto la moda della t-shirt con la frase provocatoria/irrisoria/autoironica/parodica/ecc., erano arrivati anche nel settore da 0 a 6 mesi.
Preso atto dell'involontario aggiornamento a cui venivo sottoposta e con un velato senso di orripilata ammirazione per le vie del marketing che sono, non solo infinite, ma anche onnipresenti, mi avviai alfine alla cassa con l'indumento in questione, che qui riporto in effigie.


Ero solo indecisa se considerarlo: a) un mero scherzo, b) un oggetto emblematico della diffusione oramai sistematica del kitsch nel settore dell'abbigliamento (e accessori) della società occidentale, oppure c) addirittura (ma anche qui: seriamente o ironicamente?) un rigurgito di femminismo con appropriazione del ruolo centrale della madre, che intende conservare però un'identità di donna oltre che di genitrice.
C'era anche l'altra interpretazione possibile: che si trattasse di una t-shirt con messaggio che faceva leva sul narcisismo e l'estremo egocentrismo che spesso colpisce neomadri (e neopadri), titillandoli dietro il pretesto dell'umorismo.
Comunque sia andata, ho di recente scoperto che la tendenza ha proseguito e proliferato, aumentando addirittura le implicazioni narcisistiche. Di recente, mi è stata segnalata una t-shirt simile, che fa impallidire le velleità del mio acquisto.



Poveri bimbi? Poveri genitori? Poveri noi?... Non saprei. Ai posteri...

(Di P.)

martedì 30 aprile 2013

A very vintage idea!...



Una mia amica, che è la mamma di un bel bambino bello, ha avuto una bella trovata… Very vintage. Sta usando questa splendida carrozzina d’epoca (lo possiamo anche dire), che ha ben quarantadue anni, come lettino domestico per il pupo. 


Certo, non può competere con i pratici, pieghevoli, indistruttibili passeggini contemporanei, ma quanto a eleganza non ha rivali. L’idea è bella, creativa e di buon gusto.  





La carrozzina Victory nelle foto è la sua, ma provate a fare un giretto sui mercatini virtuali della rete, scoprirete che l’articolo è offerto e richiesto, noto agli appassionati di modernariato e vintage, appunto. Il modello risale agli anni Cinquanta. Curiosando in rete, ho scoperto che esistono appassionati e collezionisti di carrozzine d’epoca, che, a volte, organizzano pure delle mostre per esporre i loro tesori. 

 





Anche se questo modello resterà semplicemente tra le mura di una casa, per cullare i pisolini di un bimbo, sarà altrettanto bene impiegato!
E il suddetto pupo i suddetti pisolini li fa e li farà ancora per un po’ in grande stile.

(Di P.)

venerdì 5 aprile 2013

Ancora "chapeau"!...


Conosco un libro superbo, che è una bibbia dell’eleganza: oltre che intelligente, è scritto con brio e stile ineffabile dalla stilista Chiara Boni e dal giornalista e manager Luigi Settembrini. La sua ironia è di quelle che fanno bene alla pelle. Si intitola Vestiti, usciamo. Purtroppo lui, il libro, è uscito nel 1987 (Mondadori), ed è fuori catalogo. Peccato!

La copertina della prima edizione di Vestiti, usciamo.


La parte sui cappelli è gustosa, come tutto il resto:

Istruzioni per l’uso
D’inverno il grande jolly, il vero passepartout, è il feltro.
Anche rosso. Magari l’autentico Borsalino. Van bene ovviamente i colori marrone, beige, grigio. Se siete davvero donne sofisticate vi consiglio la cloche di feltro: sui cappotti e le mantelle è un sogno.
La toque di velluto azzardatela di rado, solo in certe particolari occasioni: a una sfilata, a un pranzo bizzarro un tantino “fuori dalle righe e dalle regole”. D’estate il più bello di tutti è il cappello di paglia. Portatelo senza aggiunte di fiori, frutta, fronzoli vari. La paglia è bella nuda. Possono fare eccezione, per le più giovani, composizioni di fiori e frutta particolarmente equilibrate e comunque di qualità molto speciale (vedi Giusi Bresciani).

No tassativi
1) Cestinate, anche se regalati da persone molto amate che non volete far soffrire, i cappelli fatti a mano con l’uncinetto. Non c’è “mano di fata” che possa riscattarli.
2) Gli “imbuti” stanno bene in cucina. Le “cuffie” non stanno bene da nessuna parte.
3) Il colbacco col paraorecchi fa cane San Bernardo.
4) La cloche scozzese (usatissima dalle amanti del velocipede) fa Esercito della Salvezza oppure Scuola Steineriana.

(Di P.)

martedì 12 febbraio 2013

Chapeau!

I cappelli: ci sono persone che sembrano nate per portarli. A prescindere dal fatto di indossarli o vederli indossati, mi soffermo qualche volta a pensare che dovrebbero essere più diffusi. Fino agli anni Cinquanta il cappello e un paio di guanti erano d’obbligo per ogni persona mediamente curata. A partire dagli anni Sessanta, sono scivolati entrambi giù dalla china dell’accessorio e, mentre i guanti hanno saputo comunque resistere, i cappelli sono precipitati nel burrone del facoltativo.
Il che però ci regala, quando ne incontriamo uno ben portato, il piacere di gioirne e lasciarci prendere dalla voglia di trovarne uno anche per noi.
Un’amica ne ha trovato uno, a tesa larga, di un verde convincente e travolgente. Nello scorgerla da lontano, l’altro giorno, ho subito pensato che l’inverno – quello che non finisce più – lei aveva trovato il modo di illuminarlo e di riscaldarlo un po’.

(Photo by D.)

Lo definisce un semplice cappello a tesa larga in un bel verde bottiglia. E aggiunge che non è "esagerato" ma catalizza l'attenzione. Sarà la falda o sarà il colore o forse è il semplice fatto che per indossare un cappello "ci vuole un po' di coraggio". Detto questo, lei afferma che non lo indossa perché ha coraggio, ma perché le piace e si sente bene quando ce l'ha in testa!

(Photo by D.)

I cappelli: ci sono donne che sembrano nate per portarli.

(Di P.)