Durante un recente viaggio, ho
avuto il piacere di incrociare, nei corridoi di un aeroporto, un esemplare di
donna elegante. Partiva, come tanti, ma incedeva con una grazia sua propria.
Poco importano l’età e la
nazionalità. Indossava una gonna nera (longuette),
calze color carne, scarpe nere dal tacco medio e una giacca avorio di taglio e
tessuto impeccabili, che faceva le veci del soprabito. La borsa era né piccola
né grande, e classicissima (sì, quella).
L’acconciatura, semplice e giovanile, completava un insieme discreto quanto
folgorante.
Non so se sarete d’accordo, ma mi
sembra che s’incontrino troppo raramente persone di questo genere; pare infatti
che le trasferte, con qualunque mezzo effettuate, tirino fuori il peggio di
guardaroba spesso già discutibili.
Con la scusa della praticità (che
ha i suoi lati terrificanti, a volte), si mette da parte il buon senso
(estetico) e si indulge in giubbotti e giubbini dalle mille (e naturalmente
inutili) tasche, in scarpe da ginnastica multicolore e multiterrore, in gonne e
pantaloni “sportivi”, in accessori “plastificati” e in cappellini improbabili che
– immagino – dovrebbero difendere alternativamente dal sole, dalla pioggia e
dal vento.
Tutto per prendere l’auto, un
treno o un aereo. Cioè dei mezzi in cui si trascorre il tempo seduti (senza
marciare, correre o allenarsi ad alcunché di fisico), al riparo dalle
intemperie (ovvero dal sole, dalla pioggia e dal vento) e in presenza di
temperature medie, se non ideali.
Forse, allora, è meglio decidere
di farsi notare per la sobrietà e l’eleganza anche in viaggio e in trasferta,
abbigliandosi e “accessoriandosi” di conseguenza. Visto che – almeno così pare
– cromatismi isterici e materiali ed equipaggiamenti da safari in condizioni
estreme sono un tantino sovradimensionati rispetto alle esigenze della maggior
parte dei viaggi della maggior parte della gente.
(Di P.)
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