Una volta, per farsi quattro
risate sotto i notorii baffetti, si andava ai matrimoni. Dai, confessiamolo, ce
la siamo spassata tutti almeno un po’, almeno una volta, a sganasciarci silenziosamente
nell’intimo del nostro lato più inclemente nell’osservare, nell’ordine: i
completi che più “della domanica” proprio non si può, la creazione delle combinazioni
più improbabili nella convinzione di offrire un modello di eleganza e di
originalità, i dettagli più racappriccianti in testa a qualche signora che ha
letto da qualche parte che a una cerimonia si va con il cappello. Solo che
certe signore portano il cappello come certi uomini portano la cravatta: come
se non ne avessero mai visto uno, come se fosse un corpo più estraneo di un
Alien nel pancino, pronto a mettersi in evidenza tra lacrime e sangue da
spargere copiosamente (ma, in questo caso, i fluidi della sofferenza
appartengono esclusivamente a chi assiste alla scena).
C’è poi quella che invece un
libro sull’eleganza non lo ha mai letto. O se lo ha letto, ha saltato la parte
dedicata al matrimonio (c’è sempre; chissà perché). Oppure voleva leggerlo, ma
poi lo ha dimenticato (a quelli che ne hanno veramente bisogno succede sempre;
chissà perché). E il giorno della cerimonia nuziale alla quale era invitata le
è piombato addosso senza pietà, senza lasciarle il tempo di pensare. O
lasciandole forse troppo tempo per quel genere di riflessione che alcune
persone non dovrebbero fare.
E allora cosa succede? Che una va
a un matrimonio con un completo pantalone,
nero, senza calze, ma con i sandali (tacco 15 col pantalone, of course), con dei fiori finti
appuntati da qualche parte. E peccato perché se faceva freschetto, la stoletta
di pelliccia, magari sintetica, non ce la toglieva nessuno. A questo punto, che
il cappello ci sia oppure no, ha davvero importanza?
Lo so che con questa storia dell’anonimato,
starete pensando “questa se le inventa: facile, mica ci mette la faccia”.
Eppure ormai dovreste conoscermi, se leggete queste pagine da qualche tempo: sono
un tipo preciso, corretto, persino un tantinello rigido. Non ve le
scrivo le bugie.
È successo. Fidatevi. Io ho visto
con questi occhi cose che voi esseri eleganti non potete neanche immaginare.
Ma, attenzione, perché questa
volta – credo sia la prima e l’ultima, e conta poco – penso davvero di avere
individuato una tendenza, una primizia che vi porgo, che vi invito a cogliere,
se volete continuare a gioire (o soffrire, ma con un ghigno di superiore
distacco appena accennato agli angoli delle labbra, eppure tanto tanto tanto
gratificante – e sprezzante, promettetemelo) delle aberrazioni dell’umana
fantasia in materia di abiti e accessori (sì, sì, ci sono anche il trucco e le
acconciature, vedrete. Avidi!).
Ecco l’intuizione che vi porgo, frutto di
un'attenta osservazione: andate alle lauree. Ve lo prometto: da un po’ di tempo in qua sono molto, ma
molto meglio dei matrimoni.
E, se ci pensate un attimo,
doveva accadere. Riuniscono intere famiglie e truppe d’amici. Abbiamo il
ventaglio generazionale e socio-culturale al completo. Abbiamo la trasferta per
molti, se non per tutti. Abbiamo una cerimonia. Abbiamo le foto e i filmini. E,
come accade per i matrimoni, sono per lo più al mattino, ma senza disdegnare
ormai nemmeno il pomeriggio. E se ci mettiamo la proclamazione “ecumenica” di
tutti i laureati della giornata, si può arrivare all’ora dell’aperitivo senza
neanche accorgersene. E dopo la parte cerimoniale, abbiamo la festa… È uguale.
Ma, incredibilmente, può essere uno spettacolo “peggiore”.
Insomma, vi divertirete come dei
pazzi. E gratis. Che, come si deve dire sempre in questa nostra sfortunata
epoca, “di questi tempi!...”.
Segnatevi le date delle lauree
dell’università più vicina, e provate. Non
avete idea di quello che potrete incontrare.
(Di P.)
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