Passeggiando in agosto per le strade di una capitale europea
particolarmente assolata (una delle poche, in questa bizzarra estate 2014), mi sono imbattuta nelle pantagrueliche vetrate di un
esercizio commerciale del quale non avrei mai potuto immaginare nemmeno
l’esistenza. In un palazzo bello e imponente decine e decine di metri quadrati,
su due piani, sono stati allestiti con dovizia di dorature, specchi formato
famiglia (numerosa), open space
diluito ma diffuso, dettagli trendy, sapienti
tocchi di kitsch e micro installazioni con rivisitazioni del prodotto
(ricoperto di broccato, ricoperto di strass, ricoperto di seta) per vendere… Un
gelato con lo stecco.
Che è una cosa molto semplice e banale e, certo, non nuova
e, a priori, né esclusiva né lussuosa.
Per questo, messa da parte la nausea spontanea e i primi
vagiti di un riso isterico, ho provato una forma di mistica ammirazione per
coloro che si prodigano a titillare la propria creatività per giungere a realizzare
questi templi contemporanei consacrati a un’idea di marketing.
Perché di templi si tratta, a ben guardare. Sono spazi destinati
alla collettività, eretti per offrire un luogo dedicato per celebrare una fede.
Che lo si consideri un’offerta o un sacrificio, esigono il versamento
dell’obolo onde partecipare a pieno titolo al rituale. Un certo numero di fanciulle
e fanciulli dalle gradevoli fattezze, e impregnati della purezza che solo la
giovinezza sa elargire, celebrano i riti tra le dorature e gli specchi; e
accompagnano così il fedele nel suo soggiorno nel tempio.
Ma la fede in che cosa viene celebrata? Quale genere d’appagamento
esistenziale o sollievo metafisico viene suggerito da tali luoghi? Qui sta il
genio dei sopracitati creativi.
Al centro di tale “consacrazione” sta la fede nel fatto che
il vuoto salverà il mondo. E lo
renderà pure un posto migliore. E cioè che un gelato con lo stecco è il massimo
del piacere, della realizzazione e della consapevolezza dell’esistenza a cui si
possa aspirare e attingere. Che un gelato con lo stecco ci rende sciccosi, che
un gelato con lo stecco ci rende importanti, che un gelato con lo stecco ci
rende finalmente unici e che un gelato con lo stecco può dimostrare,
definitivamente e irreversibilmente, quanto siamo straordinariamente fighi.
Sia chiaro, ho i piedini per terra: e sono lieta che qualche
decina di persone abbia uno stipendio (che magari, visti i tempi, altrimenti non
avrebbe) perché impartisce i sacramenti nel tempio del gelato con lo stecco. E
lo so che pure una bella borsa firmata mi alletta anche perché mi fa sentire
sciccosa, importante, ecc. Ma è proprio questo il punto, da qui è scaturita la
mia ammirazione: hanno creato un mito intorno all’ennesimo oggetto commerciale,
ma lo hanno fatto con il gelato con lo
stecco. Ti vendono il gelato con lo stecco in un ambiente (location, se preferite) degno della
megalomania dell’ennesima esclusiva boutique
di uno stilista arrivato. Ti offrono, in cambio sempre di un gelato con lo
stecco, di poter credere di stare facendo l’esperienza del lusso,
dell’esclusività, dell’appartenenza a un’élite
del gusto (se non del buon gusto...).
È praticamente un miracolo!
Amen.
(Di P.)
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