Da qualche tempo, ho notato che può
capitare di incontrare abbastanza spesso delle “strane coppie”. Non esattamente
come quella del perfetto (perfettamente scritto, perfettamente interpretato, perfettamente
cadenzato) film di Gene Saks e Neil Simon, ma, a volte, con gli stessi risvolti
comici.
Sto parlando delle coppie madri e
figlia o padre e figlio (è più evidente tra genitori e pargoli dello stesso
sesso, ma avviene anche tra sessi diversi) in vestitura simbiotica. C’è la
figura grande e c’è la figuretta piccola, ma sono vestiti nello stesso identico
modo.
Si tratta di una tendenza
naturale, che è sempre esistita e, anzi, fa parte non solo della cultura
Occidentale, ma di tutte le culture. La questione interessante è che in
Occidente, e solo in Occidente ho l’impressione, si è invertita la direzione
del fenomeno.
Un tempo, e da sempre, erano i
bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze a volersi abbigliare (e truccare,
e “accessoriare”) come gli adulti e, naturalmente, in particolare come gli
adulti di riferimento, cioè i genitori. Passare dal calzone corto a quello
lungo, indossare i primi centimetri di tacco, disfarsi delle trecce o della
coda di cavallo, annodare una cravatta o sistemare un foulard, portare un gioiello,
ma anche, semplicemente, indossare un primo abito “da donna” o una giacca:
erano, e per alcuni sono ancora, il simbolo di un primo rito di passaggio all’età
adulta, a lungo agognato e – perché no? – anche piuttosto divertente.
Ora, invece, a mano a mano che l’età
matura o quella di mezzo si avvicina e si consolida per i genitori, sono questi
ultimi che compiono il rito di passaggio, ma a un’eterna giovinezza o
adolescenza. E cominciano (o continuano) a vestirsi come i loro figli (questo
significa allora che Giorgino potrà finalmente sentirsi “grande” solo quando avrà
i jeans strappati come papà; e Sandra quando porterà i “colpi di sole blu” come
la mamma).
Risultato? I figli sono privati
di modelli e punti di riferimento, confondono – giustamente – il ruolo
genitoriale con quello amicale e, se sono in gamba, realizzano d’avere dei
genitori imbecilli.
Imbecilli perché non si rendono
conto che si fanno manipolare da un mercato che da decenni cerca di vendere
loro indumenti e accessori che devono essere costantemente “nuovi”, “giovani”, “alla
moda” e che debbono quindi essere continuamente rinnovati (leggi pure “comprati”).
Imbecilli perché non si rendono
conto che questo mercato sta tutto dentro una società che ci vuole convincere
che la giovinezza è un valore assoluto (il
valore), mentre la maturità è un malanno peggiore della peste bubbonica in
stadio terminale.
Non so voi come la vedete, ma
quando incrocio le “strane coppie”, sono presa, più che dallo sconforto, dall’indecisione:
non so mai se dispiacermi di più per i genitori o per la prole.
(Di P.)